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Nelle pratiche riabilitative psichiatriche il lavoro ha sempre rivestito un ruolo centrale.
Non è il caso di soffermarsi sull’ergoterapia che veniva praticata nella maggior parte dei manicomi “moderni”: il suo ruolo di sfruttamento e di intrattenimento (analogo a quello di tutte le altre “riabilitazioni” declinate nel chiuso delle mura manicomiali) sono stati denunciati dalle pratiche di deistituzionalizzazione fin dagli anni’70 e dovrebbero essere oggi patrimonio condiviso per cui non è più possibile pensare ad un intervento riabilitativo che non sia “ricostruzione della piena cittadinanza del paziente psichiatrico: restituzione dei suoi diritti formali e costruzione affettiva, relazionale, materiale, abitativa, produttiva dei suoi diritti sostanziali” (B. Saraceno).
Negli anni della chiusura dei manicomi, nella dimensione territoriale del lavoro psichiatrico che andava strutturandosi, un ruolo importante è stato ricoperto dal terzo settore e dalle cooperative in particolare (specie, ma non esclusivamente, di tipo B): per molti ex lungo-degenti sono state l’occasione per essere introdotti nel mondo del lavoro “vero” con un approccio flessibile modulato sulle loro capacità e difficoltà; analoghe considerazioni si possono fare per quegli utenti, senza passato istituzionale ma non “competitivi” sul mercato del lavoro, con cui i servizi iniziavano a confrontarsi.
All’inizio del lavoro dei Servizi, con la pratica della “presa in carico” del paziente e dei suoi bisogni anche di ordine sociale, il collegamento tra questi e le altre agenzie del territorio era molto stretto ma nel corso degli anni, la crisi del welfare, l’aziendalizzazione, la prevalenza di logiche di mercato, hanno investito anche la salute mentale con l’effetto,
all’interno della maggior parte dei servizi psichiatrici, dell’affermazione di una cultura e di una operatività di tipo clinico-ambulatoriale con una progressiva delega al terzo settore di tutte quelle attività che non rientravano in questa visione.
La perdita di un approccio unitario ai bisogni di salute ha così contribuito alla riproduzione di pratiche neo-istituzionali e cronicizzanti e, in molti casi, specificatamente nell’ambito riabilitativo e lavorativo, si sono riprodotte logiche di neo-intrattenimento che hanno investito anche l’attività delle cooperative.
Ovviamente questa deriva non riguarda tutte le esperienze e il seminario vuole appunto evidenziare queste differenze.
Gli interventi previsti, affidati a relatori di vasta esperienza in campo riabilitativo e nello specifico rapporto con le cooperative, coprono gli aspetti generali del problema: dalla ridefinizione del concetto di riabilitazione nell’attuale contesto sanitario, sociale ed economico (Cardamone); ai bisogni formativi degli operatori delle cooperative che hanno soci e inserimenti provenienti dall’area della salute mentale (Ricci); alla valutazione degli esiti dei programmi riabilitativi (Magnani). Accanto a questi interventi, affidati ad operatori di servizi di salute mentale, altri interventi sono affidati a Responsabili di cooperative sull’attuale collocazione del movimento cooperativo (Peruzzi), sui riferimenti normativi e sullo stato dell’arte nella realtà della Regione Toscana (Fragola, Menicatti, Gallo)
Nella seconda parte del seminario verranno presentate esperienze di buone pratiche, sia dei servizi che del terzo settore, che hanno consentito di passare dalla cura della malattia alla produzione di salute: questi interventi descriveranno il complesso intreccio di rapporti tra sanità, area del sociale e imprenditorialità, che un progetto riabilitativo/lavorativo comporta.
Queste relazioni sono affidate alle stesse cooperative direttamente impegnate sul campo con diverse professionalità impegnate.
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